sabato 28 marzo 2009

Verità nascosta

E’ strano come, passando il tempo, la Verità sembra essere sempre più velata. Sempre è stata velata, la Verità, ma mai come negli ultimi decenni, in cui la sofisticazione della vita dell’uomo ha creato modi sempre più sofisticati di coprire, velare, ripiegare, manipolare la Verità.
Nel tempo dell’amoralità, concetto laico per dire che tutto è sostanzialmente lecito nella misura in cui non causi un diretto danno agli altri, bene e male sono posti esattamente sullo stesso piano. Anzi, bene e male si mischiano, si compenetrano, giocano tra loro. Non esistono realmente, divengono pedine di un gioco esterno, che noi giochiamo da spettatori. Si può trarre lecitamente piacere sia da ciò che tradizionalmente è bene sia da ciò che è male; al di fuori di ogni giudizio, critica, pretesa che ciò che facciamo sia giusto o abbia un fine.
Molto più banalmente, le carte nel mazzo sono state rimescolate al punto che cuori e picche sono completamente sparpagliati, confusi in ogni momento della vita quotidiana.
Una volta nelle conversazioni, nei libri, nei film, bene e male erano chiaramente identificati e non stavano sullo stesso piano. Nella letteratura delle varie tradizioni il male era sempre qualcosa da combattere, da superare, da sconfiggere. Un drago, un serpente, un mostro, era sempre malvagio e andava sterminato.
Oggi, la ricerca di nuovi orizzonti, di situazioni sempre più eccitanti, di sensazioni nuove, ha inevitabilmente finito per andare a pescare anche nel torbido. Mescolando carte buone con carte cattive, alla ricerca dell’armonica dissonanza moderna, della poesia dei contrasti, del capolavoro amorale.
Non a caso è un bestseller Twilight, la storia del vampiro buono perdutamente innamorato di un’umana, di cui vorrebbe bere disperatamente il sangue, ma che cerca di controllarsi per un istintivo impulso d’amore.
C’è molta, molta confusione. Dove è andata a finire la Verità?

Sicurezza e Ordine

Un’altra contraddizione squisitamente italiana si può registrare sul piano della sicurezza. Che strana parola, “sicurezza”: rappresenta il desiderio di riparo, di essere protetti dalle violenze che arrivano dall’esterno. E’ un concetto più ristretto, e non a caso più rassicurante, di “ordine”, che invece sembra ricomprendere oltre alla sicurezza anche l’idea di disciplina, al di fuori di mere occasioni di violenza. L’”ordine” chiama in causa un soggetto, lo Stato, che è incaricato di mantenerlo; nonché un concetto di “fermezza” con cui l’ordine dev’essere necessariamente applicato. “Sicurezza” invece è una parola neutra, senza soggetto motore, è una mera condizione in cui ognuno desidera trovarsi.
In Italia desideriamo sicurezza, senza però desiderare che ci sia qualcuno a garantircela. Desta quasi stupore il concetto di “polizia”, di persone armate che di mestiere cercano i delinquenti. Persone armate col diritto di limitare la libertà degli altri, pagate dallo Stato (e quindi mercenari) per essere mercenari di Stato, di lobby di potere, eccetera. L’antagonismo verso la polizia e verso l’ordine in generale esiste, e non è peraltro patrimonio esclusivo dell’Italia. Si nota chiaramente anche all’estero, ed è una delle striscianti espressioni del libertismo spinto, che, nell’obiettivo di rimuovere ogni barriera alle libertà possibili, intravede un ostacolo anche in chi di mestiere deve limitare le libertà. Questi campioni del pensiero detestano la polizia e fanno il possibile per metterle i bastoni tra le ruote, salvo poi lamentarsi della sua scarsa efficacia quando magari ne hanno veramente bisogno.
Vale (dovrebbe valere) per la polizia lo stesso concetto che dovrebbe valere per i politici. Se i politici sono stati votati per fare delle riforme, le devono fare, nonostante ci siano proteste feroci, movimentazioni sindacali, minacce e tensioni. Il governo legittimamente eletto comanda. Così la polizia non dovrebbe essere in alcun modo frenata – anzi semmai sostenuta – nell’esercizio dei suoi doveri, che sono di importanza vitale per qualsiasi comunità/organizzazione.

martedì 24 marzo 2009

Talenti

Tanti giovani se ne vanno all'estero perché non trovano in Italia un lavoro soddisfacente. E' la "fuga dei talenti", che tanto si cerca di fermare. Ma cosa può fare lo Stato per trattenere i talenti? Di fatto, niente, almeno nel breve/medio periodo.
I giovani se ne vanno per ragioni strutturali. Non se ne vanno soltanto perché non trovano un lavoro abbastanza remunerativo - anche se quella è una ragione forte. Il sistema Italia strutturalmente non premia il "merito" e non incentiva lo sforzo al miglioramento.
Dal lato del contratto (e qui rientrano Stato e sindacati) manca in modo abissale la flessibilità nell'approccio al lavoro. Va bene fissare un tempo "standard" di lavoro per i dipendenti (le 45 ore settimanali) ma non si può impedire, limitare o disincentivare il lavoro straordinario. Una persona deve essere libera di poter lavorare quanto vuole.
Allo stesso modo, è giusto che un'impresa sia libera di licenziare un dipendente in qualsiasi momento per ragioni economiche o di malfunzionamento del rapporto di lavoro. Bisogna comprendere che il licenziamento non è un'arma di ricatto a vantaggio dell'impresa, quasi che l'impresa provasse sadicamente gusto a colpire qua e là in base a strane antipatie. Il licenziamento tutela i buoni dipendenti da coloro che invece lavorano male o si rilassano. Avere colleghi che non lavorano, o lavorano la metà di quello che lavori tu, e che sono pagati allo stesso modo, ha un effetto disastroso sul morale e il rendimento delle persone. Se qualcuno si sente legittimato a lavorare poco, perché egualmente pagato e inamovibile, tutti saranno incentivati a comportarsi alla stessa maniera. Ne è conseguenza naturale che per fare la stessa quantità di lavoro sarà necessario assumere più persone, che lavorino "poco", e che siano pagate anche poco, in un banalissimo circolo vizioso. Logicamente, chi ha voglia di lavorare ma anche di percepire uno stipendio migliore cercherà di andarsene o di trovare un altro mestiere.
Dal lato delle imprese dovrebbe essere consentito stipulare contratti maggiormente flessibili, che prevedano una parte della compensazione fissa ed una variabile, legata alla performance; e che pesino possibilmente intorno al 50% - 50%. In tal modo si può dare soddisfazione a chi lavora bene, e motivare a far meglio.
I talenti sono tali perché apprezzano un ambiente sfidante, in cui possono appunto "utilizzare" i talenti. Se l'ambiente è impostato su un livello medio basso, senza prospettive, come si può pensare che se ne restino in Italia?

lunedì 23 marzo 2009

Questioni di identità

A noi piace molto l'identità. L'identità è come un quadro: un'insieme di tratti, di colori, di movimenti, che messi insieme formano un qualcosa di finito, di armonico. Questa è la nostra identità. E' come un castello: fatto di tanti mattoni, i quali delimitano tante stanze; e l'insieme delle stanze definisce la struttura del castello, nei cui spazi è organizzata la vita.
L'identità è quindi un insieme di elementi coerenti, dalla cui unione dipende un'unico armonico, bello, vitale. E' come un quadro, ma un quadro vivo: non si ferma al suo essere, non è una sfera perfettamente immobile; è un'opera viva e in movimento. Noi ci relazioniamo con l'esterno, con altre identità, con altri sistemi, e da questa relazione assorbiamo nuovi elementi e rielaboriamo i vecchi. E' come un quadro che non è mai completo: anche se i tratti e la base rimangono saldi, nuovi dettagli continuano a venire aggiunti dal pittore, finendo per arricchire l'insieme.
L'identità ha bisogno dei suoi tratti differenti, perché solo dalla loro unione può realizzarsi lo scopo dell'identità stessa, cioè il raggiungimento dell'equilibrio, della perfezione, dell'armonia. Armonia che necessariamente è crescita, espansione totale, unione di tutte le cose; finché tutte le identità si fondano in un solo grande dipinto, e tutti siano parte integrante e volontaria dello stesso disegno.
Qualcuno sottolinea il fatto che l'identità sia un concetto negativo, inteso come qualcosa che "non è" qualcosa d'altro. Qualcosa che cioè si distingue ed è separato dal resto dell'ambiente. E' la definizione di un'insieme, che esclude automaticamente tutto ciò che di quell'insieme non fa parte.
Applicata in politica, quindi, l'identità è qualcosa che assume un significato sospetto. In particolare quando l'identità è forte, chiara, solida: un'identità ricca, che ha molte cose da offrire, e - proprio in virtù della sua ricchezza - ha meno necessità o è meno propensa a raccogliere nuovi elementi dall'esterno, ma anzi è un'identità in espansione. E questa è la natura dell'identità tradizionale: troppo forte, troppo ricca, troppo vasto è il suo bagaglio storico, culturale, umano. E' come un'iceberg, la cui punta è infinitesima rispetto a quanto è sommerso e viene dal passato.
L'Occidente predica il livellamento dell'identità, per costruire un unico grande quadro grigio; un quadro in cui tutti siano armonicamente legati in virtù del loro essere privi di alcuna identità. Anche questo è un quadro. Difficilmente tuttavia può resistere alle identità forti che crescono nell'Oriente, e che alla staticità del nulla contrappongono la missione storica dei loro tratti costitutivi. Per questo il futuro dell'Occidente si può costruire solo riscoprendo la sua Tradizione, l'unica che possa dare un senso alla sua esistenza e un progetto per il nuovo millennio.

domenica 22 marzo 2009

Il Salmo 21


Dice Gesù sulla croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt. 27, 46). Questa frase ha indotto molti a pensare che anche la fede di Cristo fosse vacillata. Gesù cita invece il Salmo 21, scritto 1.000 anni prima della sua nascita. E' impressionante la forza profetica di questo Salmo, che descrive perfettamente la crocifissione e la missione del Cristo.
"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza": sono le parole del mio lamento. Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo. Eppure tu abiti la santa dimora, tu, lode di Israele. In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati; a te gridarono e furono salvati, sperando in te non rimasero delusi. Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: "Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico". Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. Al mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Da me non stare lontano, poiché l`angoscia è vicina e nessuno mi aiuta. Mi circondano tori numerosi, mi assediano tori di Basan. Spalancano contro di me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce.
Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere. E` arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola, su polvere di morte mi hai deposto. Un branco di cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi; hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano, mi osservano: si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto. Scampami dalla spada, dalle unghie del cane la mia vita. Salvami dalla bocca del leone e dalle corna dei bufali. Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all`assemblea.
Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo tema tutta la stirpe di Israele; perché egli non ha disprezzato né sdegnato l`afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d`aiuto, lo ha esaudito. Sei tu la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano: "Viva il loro cuore per sempre". Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli. Poiché il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni. A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere. E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: "Ecco l`opera del Signore!".

La sindrome del Grillo

Grillo conduce molte battaglie e il suo blog è popolato di idee, di invettive, di dita puntate. A Grillo piace fare chiarezza, individuare il problema e trovare il colpevole. Gli piace smascherare complotti, intrighi, le squallide faccende italiane piene di piccoli egoismi. Grillo vuole un’Italia migliore, trasparente, moderna, giusta, in cui i politici siano duri e puri come Grillo stesso e i suoi sostenitori (specialmente Travaglio). In cui nessuno faccia niente per denaro, men che meno la politica, ma si dedichi giorno e notte al bene dello Stato. I soldi hanno un brutto “odore”, come Travaglio sa bene, e fanno puzzare anche l’anima che ne entra in contatto. Per questo i politici dovrebbero essere persone normali, senza troppi soldi, senza potere, televisioni, giornali, magari senza grossi partiti che richiedano finanziamenti. Dovrebbero essere persone pure, degne, intelligenti, qualificate, perfette, ma senza soldi, senza posizioni di interesse, senza amicizie (tante amicizie ricadrebbero inevitabilmente in gruppi mafiosi, clericali o massonici), e tuttavia totalmente disinteressate, che dovrebbero venire automaticamente elette in funzione della meritocrazia perfetta, favorite dal tam-tam di internet.
Anni fa girava una storiella che non vorrei ripetere a Grillo. Ci sono tre candidati politici: uno è un mezzo alcolizzato, uno un grosso fumatore che era il peggior studente della sua classe, il terzo un vegetariano integerrimo che non beve nemmeno alcolici. Chi sceglieresti come capo dello Stato? Non so cosa piacerebbe a Grillo, ma il terzo candidato era Hitler. I primi due, Roosevelt e Churchill.
La democrazia per Grillo è l’anarchia virtuale, in cui ciascuno di noi perfetti italiani si comporta bene, e non ha bisogno di questa classe politica ed economica corrotta, l’unico vero male dell’Italia. Il suo desiderio di giustizia e di trasparenza è encomiabile. Ma la giustizia non è solo puntare il dito e condannare, è anche dare nuove possibilità, anche perdonare, anche lasciar fare a ciascuno il proprio lavoro nell’interesse superiore della collettività. Psiconani e Topi Gigi sono belle caricature. Ma se non ci fossero loro, ci sarebbe qualche altra caricatura. Grillo ha in passato lodato Obama accodandosi al gregge di felici sostenitori del “Yes, We Can”, della novità. La realtà è che, se Obama si fosse candidato in Italia, Grillo avrebbe trovato anche per lui un soprannome azzeccato.