lunedì 14 novembre 2011

Minoranze?

La questione del vittimismo occidentale apre una pletora di questioni tipicamente progressiste ed ottuse al punto del ridicolo. In particolare quando una parte sconnessa ed imprecisata di politici, enti e cittadini lancia un generico e pubblico appello in difesa di un “gruppo”: siano le donne, i gay, gli immigrati – in sostanza, le minoranze. Anche qui siamo al punto in cui battaglie sociali del passato, che senza dubbio avevano una profonda ragion d’essere cento anni fa, dopo aver raggiunto i traguardi prefissati hanno deciso di mantenere vita propria e continuare una battaglia all’infinito senza più alcun traguardo, per il puro gusto della battaglia e il fine malcelato di mantenere un potere e accrescere benefici di parte.
Anche qui ci sono caste e organizzazioni che prosperano sulla divisione tra maggioranze e minoranze, e hanno tutta la convenienza a mantenere acceso un preteso conflitto che giustifichi la loro stessa esistenza. Questi gruppi prosperano sul fatto che le minoranze siano deboli, e fanno il possibile affinché esse lo siano o continuino a credere di esserlo. Ancora peggio e più insultante per l’intelligenza delle persone, esse si elevano ad arbitri non richiesti delle discussioni e dei processi sociali, volendo giudicare dal predellino della loro superiorità morale fatti e situazioni che ormai dovrebbero essere riguardare i soli cittadini nei loro normali rapporti – suggerendo l’idea che i cittadini non siano capaci di far valere i propri diritti da soli, ma abbiano bisogno di essere imboccati.
Dopo questa descrizione mi accorgo che un’altra casta salta immediatamente agli occhi, ed è quella dei sindacati: essi hanno portato questo principio del vittimismo e della minoranza debole all’eccesso più sofisticato: partendo dalla missione originaria di aiutare i lavoratori a guadagnare di più, sono arrivati a quella di farli lavorare il meno possibile, accettando l’idea subdola che il lavoro sia una sorta di maledizione e che il benessere dei lavoratori non sia da essi stessi costruibile, ma vada strappato a chi offre loro il lavoro. Offendendo così l’intelligenza dei lavoratori (o assecondando l’opportunismo di alcuni di essi), e impedendo di fatto ogni flessibilità a chi ha invece voglia di lavorare senza riconoscersi negli schemi del sindacato.

giovedì 10 novembre 2011

Sapienza, 7-21


Tutto ciò che è nascosto e ciò che è palese io lo so,
poiché mi ha istruito la sapienza,
artefice di tutte le cose.
In essa c'è uno spirito intelligente, santo,
unico, molteplice, sottile,
mobile, penetrante, senza macchia,
terso, inoffensivo, amante del bene, acuto,
libero, benefico, amico dell'uomo,
stabile, sicuro, senz'affanni,
onnipotente, onniveggente
e che pervade tutti gli spiriti
intelligenti, puri, sottilissimi.
La sapienza è il più agile di tutti i moti;
per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa.
È un'emanazione della potenza di Dio,
un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente,
per questo nulla di contaminato in essa s'infiltra.
È un riflesso della luce perenne,
uno specchio senza macchia dell'attività di Dio
e un'immagine della sua bontà.
Sebbene unica, essa può tutto;
pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova
e attraverso le età entrando nelle anime sante,
forma amici di Dio e profeti.
Nulla infatti Dio ama se non chi vive con la sapienza.
Essa in realtà è più bella del sole
e supera ogni costellazione di astri;
paragonata alla luce, risulta superiore;
a questa, infatti, succede la notte,
ma contro la sapienza la malvagità non può prevalere.
Essa si estende da un confine all'altro con forza,
governa con bontà eccellente ogni cosa.

lunedì 7 novembre 2011

Vittime

Una delle peggiori piaghe che azzoppano l’Italia e l’Occidente si chiama “sindrome da vittima”, o più incorrettamente vittimismo. Il vittimismo non è una sindrome, una malattia, ma una scelta consapevole: si decide razionalmente di essere vittime, deboli, indifesi, minoranze, nell’aspettativa di ricevere aiuto, protezione, sussidi, senza necessariamente meritarli, ma traendo vantaggio dal principio cristiano diffusamente presente nelle democrazie occidentali che i deboli vadano sempre aiutati. Questo vittimismo razionale e opportunista è tuttavia degenerato nell’Occidente fino ad assumere l’aspetto di una malattia, una sindrome: e cioè ci scopriamo tutti vittime, sempre, quasi ingenuamente, e cioè senza compiere una razionale scelta vittimistica, ma perché siamo così abituati alla dicotomia ricchi / poveri, sfruttatori / sfruttati, potenti / deboli – diverse categorizzazioni, ma che alla fine sempre coincidono – che ci collochiamo naturalmente nella veste della parte debole, sfruttata, impotente, e strilliamo al delitto come bambini capricciosi aspettandoci che qualche miracolosa mano paterna ci aiuti. Cosa che ovviamente non succede mai, confermandoci nell’idea che i potenti rimangono ricchi e sfruttatori, e si disinteressano di noi poveri, onesti, giusti – peraltro gratificandoci più o meno inconsciamente della nostra superiorità morale di poveracci assetati di giustizia.
Questa debolezza, piagnisteria dell’Italia e dell’Occidente, è inaccettabile: sempre pronti a scendere in piazza, a scioperare, a gridare ai quattro venti, a scrivere articoli di fuoco, ma mai a fare qualcosa di concreto, mai a prendere le cose nelle proprie mani, mai a cercare di rompere il paradigma ricchi / poveri, potenti / deboli. Vuoi essere potente, vuoi essere tu a fare le scelte giuste che nessuno fa? Diventa potente, ma non aspettarti che il potere ti venga affidato dall’alto, ti venga investito come un re investiva vassalli e cavalieri: fai tu qualcosa, datti da fare, costruisci il tuo potere ed afferralo con le tue capacità. Se non ne sei capace, non lamentarti e non piangere, ma condanna solamente te stesso! Se hai dei diritti che ritieni calpestati, combatti per farli valere, non lanciare inutili accuse e sterili contestazioni. Accetta e chiedi l’aiuto degli altri, ma agisci per conto tuo, come se l’aiuto degli altri non ci fosse, e tutto quello che riceverai sarà in più.
E’ facile assumere che il mondo sia sempre guidato e manovrato da vecchie caste di ricchi e potenti, e in parte è così, ma la bellezza del nostro mondo è la possibilità di affrancarsi da simili schemi in base al merito individuale. L’esperienza dimostra che molti ricchi sono anche pigri, lenti e viziati, e tendono inesorabilmente a trascinare nel baratro la propria fortuna, mentre molti poveri hanno l’entusiasmo e la perseveranza per raggiungere grandi risultati. Coraggio, leadership, duro lavoro: da queste cose si distinguono le persone di valore, che generalmente ricevono grosse batoste dalla vita e dal lavoro, ma non per questo si siedono e piangono, anzi ne traggono motivo per rimboccarsi ulteriormente le maniche e andare all’attacco del problema. E forse la vera felicità nella vita si trova nel viaggio, nel remare e navigare nelle avversità andando sempre più avanti, piuttosto che stare fermi e seduti a lamentarci.

martedì 1 novembre 2011

Tolleranza zero

In molti si affannano di questi tempi a ricercare le malattie dello spirito e della società: mi ci metto anch'io, e una delle più subdole e pervasive che scopro è la tolleranza. Essa è millantata come virtù, come dovere e sforzo civico, come medicina necessaria per la società multiculturale. Qualcuno si è però soffermato a riflettere sul senso e le implicazioni della tolleranza?
Tolleranza significa riconoscere qualcosa che non condividiamo, con cui non andiamo d’accordo, e tuttavia non fare nulla per cambiarlo. Vuol dire fermare consapevolmente l’azione che il nostro cuore o la nostra mente ci avrebbero altrimenti imposto di fare. Tolleranza non ha niente a che vedere con il rispetto, che è il riconoscimento della sacralità della vita umana e la tutela della sua dignità. Tu puoi rispettare le persone, ma non necessariamente condividere o “tollerare” le loro azioni od opinioni. Esiste il dialogo, il dibattito, il confronto onesto e aperto su posizioni differenti: un processo che porta al chiarimento e forse alla verità. Un processo che è ostacolato o annullato dalla pretesa tolleranza, che è appunto “negativa”, perché nega l’azione e la discussione. Non abbiamo forse scelto di vivere in democrazia per esercitare diritti di opinione e di associazione? La tolleranza è nei fatti anti-democratica.
Tolleranza non è nemmeno sinonimo di sopportazione. "Sopportare" vuol dire compiere uno sforzo personale che è però finalizzato ad un obiettivo positivo: si sopportano le critiche, si sopportano i disagi, si sopportano le difficoltà - e in questo processo si migliora se stessi, si progredisce nel lavoro e nella vita, si raggiungono risultati. Tolleranza vuol dire compiere uno sforzo che non ha una finalità, o meglio con l'unica finalità che nulla accada o cambi.
Tolleranza che è intrinsecamente portatrice di un senso di superiorità: è il superiore che può (e “dovrebbe”, secondo le visioni correnti) tollerare l’inferiore, se possibile evitandolo e ignorandolo. Noi tolleriamo i piccioni, le formiche, che ci sono inferiori e ci danno fastidio. I genitori tollerano le marachelle e la vivacità del bambino. In base a tale principio di pretesa superiorità, le maggioranze sociali dovrebbero tollerare le turbolenze delle minoranze, in una sorta di “non ti curar di lor, ma guarda e passa” moderno, che ben poco ha di utilità sociale, se non proteggere l’indifferenza e l’isolamento civico. Nell’esempio precedente i genitori, tuttavia, si sforzano di correggere il comportamento del bambino, ed egli viene punito per le sue marachelle (o almeno così si spererebbe) – non viene lasciato libero di compierne altre.
Come non vedere uno straordinario conflitto d'interesse? La tolleranza dei cittadini è soprattutto la scusa per l’inazione dei politici. I politici vogliono dei cittadini tolleranti, così che i primi non debbano sforzarsi a far rispettare l'ordine e le leggi, a gestire i conflitti sociali; e se un cittadino invoca queste cose, i politici liquidano il tutto come intolleranza.
La tolleranza è anche comoda e codarda: impedendoci di prendere posizione, ci consente di non esporci in prima persona. E’ facile girare la faccia dall’altra parte quando succede qualcosa che non ci piace, e fare finta di niente. Pensa a comportamenti antisociali (scritte sui muri, maleducazione giovanile), offese al senso religioso nel cinema e nell’arte, e soprattutto la convivenza con persone extra-comuntarie che spesso involontariamente offendono la sensibilità locale proprio perché non conoscono la nostra civiltà e le nostre usanze (e che nessuno mai insegnerà loro, se seguiamo la legge della tolleranza). Più difficile è far valere i propri diritti, correggere comportamenti negativi altrui, mettersi in gioco e combattere per qualcosa in cui si crede. Per questo Chesterton dice saggiamente che la tolleranza è la virtù di un uomo senza convinzioni.
Il contrario di tolleranza, intesa come "sforzo per non fare qualcosa", non è intolleranza - parola che ha raggiunto connotazioni di significato iperboliche e sproporzionate. Il contrario di tolleranza è "reazione", sforzo per cambiare. Tradotto in termini squisitamente democratici, pura e semplice discussione.

lunedì 24 ottobre 2011

Bellezza


Tra le risorse che cominciano a scarseggiare in questo mondo, una molto particolare è la bellezza.
La bellezza non è affatto cosa soggettiva, è anzi universale e riconoscibile. La bellezza muove l'anima in senso positivo, trasmette serenità ed energia. Essa nasce dalle virtù di un oggetto che si riflettono nell'interiorità dell'osservatore. Cos'è bello? Ciò che è semplice e incontaminato, come la natura. Le cose pulite, ordinate, fatte bene. E' bello ciò che è stabile, solido, che ha un'aspirazione di eternità. E' bello ciò che è piccolo, fragile, debole, impotente - come i cuccioli degli uomini e degli animali. E' bello ciò che cresce, che ha vita, perché è qualcosa che ci riguarda ed ha un’anticipazione di futuro. E’ bello ciò che è completo, armonico, stabile, perché pacifica e distende l’animo. E’ bello ciò che richiede sacrificio, sforzo, concentrazione, perché merita considerazione. L'immobilismo, la staticità, la trascuratezza, la pigrizia, la confusione, la disarmonia: nulla di tutto questo è bello.
Come non riconoscere a questo punto la bellezza come tratto comune e sottostante di numerose idee alte e grandi? La bellezza nelle giustizia: cosa talmente ardua, scintillante e immortale, facilmente negata. La bellezza nell’ordine: così difficile da mantere, così innaturale nell’entropia del mondo, ma utile e favorevole alla vita umana. La bellezza nella verità: niente di più completo, giusto, perfetto, e tuttavia così spesso irrisa e sbeffeggiata. La bellezza nella modestia, nell’umiltà, nella purezza, nel digiuno.
La bellezza somiglia molto ad un tratto magico e rinfrancante, ad un profumo divino nello spirito delle cose.

giovedì 20 ottobre 2011

Cose scontate

Ce ne sono talmente tante di cose che si possono fare per raddrizzare l’economia italiana e promuovere le necessarie riforme che c’è quasi l’imbarazzo della scelta:
• dimezzare il numero dei politici a livello parlamentare e regionale, ridurre i loro stipendi e rivederne meccanismi di pensionamento e privilegi vari
• ridurre significativamente il numero dei dipendenti pubblici, specie al meridione dove certe situazioni sono al di là della definizione di scandalo
• tagliare drasticamente le pensioni da subito, aumentare l’età pensionabile per uomini e donne, incentivare la gente a lavorare durante l’età pensionabile
• tagliare la spesa sanitaria, aumentare il contributo privato, rivedere le soglie d’accesso ai sussidi pubblici
• liberalizzare i contratti di lavoro, permettere a ciascuno la facoltà di lavorare quando e come vuole, al di fuori di vincoli di orario o durata
• di pari passo con questo, disciplinare le organizzazioni sindacali, richiedere loro trasparenza di bilancio, semplificare le norme d’assunzione e licenziamento
• lotta durissima e sistematica alla criminalità organizzata, confisca di beni e attività ovunque essi siano
• revisione del sistema carcerario e obbligo di lavoro da parte dei carcerati in ambiti socialmente utili
• semplificazione delle leggi e dei processi – è inaccettabile che nel Regno Unito durante le rivolte estive siano state arrestate duemila persone, e quasi mille siano state processate e condannate in 3 giorni, mentre da noi per lo scempio di Roma siano state fermate in flagranza una decina di persone e chissà quando si arriverà ad un processo
• promuovere il turismo e il made-in-Italy in modo significativo: abbiamo più arte, cultura e cucina di qualsiasi paese al mondo, ma la via con più affluenza di turisti all’anno è Oxford Street – è inaccettabile!
• riforma totale dell’educazione nel segno del pensiero critico e dell’educazione civica fin dalle medie, flessibilità per gli studenti di migrazione da anno in anno / materia in materia a seconda del loro livello di preparazione. Un dodicenne deve potersi laureare all’università se ne è in grado, non sobbarcarsi la lentezza di chi non è al suo livello. Promuovere corsi che favoriscano l’autostima, la fiducia, l’autocontrollo e l’imprenditorialità degli studenti
• multe a tappeto e tolleranza zero per il mancato rispetto delle leggi, in particolare delle leggi meno importanti. Lo stato dei parcheggi solo a Milano grida al cielo vendetta
• promuovere coesione sociale e culturale, indirizzare la gente a uno stile di vita più sobrio ed essenziale, alla ricerca di ciò che è importante e necessario
• chissà quante altre cose ci sono, dalle semplificazioni fiscali alle varie agevolazioni della trasformazione d’impresa, trasferimento dei titoli, ecc. su cui siamo indietrissimo rispetto all’Europa.
Non vogliamo un’Italia pulità, forte anche economicamente, di gente che non si vittimizza e non si aspetta la manna dal cielo, ma che si rimbocca le maniche e si crea da sola il proprio futuro? Di gente piena di entusiasmo, di sogni, che non deve stare a elemosinare aiuti europei, ma che va in tutto il mondo ad aprire aziende e ad assicurarsi contratti e relazioni? Un’idea del genere è ormai solo uno sprazzo di luce contraddetto dalle probabilità, ma esiste – e per raggiungerlo servono lacrime e sangue, esattamente ciò che le riforme elencate qua sopra richiederebbero. Sacrifici, tirare la cinghia, conflitti sociali, scelte impopolari – sarebbero il minimo. Ma è questo il ruolo di politici con la P maiuscola. L’alternativa non è affatto più brillante, anzi – anni di depressione, fallimenti, sogni infranti, soltanto per sgraffignare ancora qualcosa dallo Stato e vivacchiare sugli attuali privilegi. Uno scandalo a cielo aperto.

mercoledì 19 ottobre 2011

Eroi - Gilbert K. Chesterton


Più volte in passato mi ero imbattuto nel nome di Chesterton, ma per qualche ragione una strana pigrizia mentale mi ha come impedito di affrontarne il pensiero, fino ad un casuale incontro estivo. Un trafiletto di giornale, un articolo, qualche giorno di vacanza per casualità in Italia – è stata la proverbiale palla di neve che ha iniziato a rotolare creando una valanga. Raramente ho incontrato un pensiero così geniale, così semplice, e soprattutto così affamato di verità. Una genialità che è straordinaria, proprio perché non ha limiti – i limiti generalmente costituiti e autoimposti da una mentalità “laica”, nell’esatto senso che ha ormai assunto il termine e cioé atea-materialista.
Nella mia ancora modestissima conoscenza del suo pensiero, tre idee mi hanno particolarmente colpito. La prima è la sua celebre definizione della Tradizione come “democrazia dei morti”. In base a che cosa dovremmo stare ad ascoltare solo i vivi? I morti hanno più esperienza e più saggezza della gran parte dei vivi, e quindi maggior diritto ad indicare la strada verso il futuro e ad avere voce in capitolo su temi cruciali.
Il secondo pensiero fa parte della visione cristiana della vita: la felicità e la bellezza come cose fragili, leggere, come il vetro o il cristallo, che possono durare in eterno se sono protette, ma che una minima pressione può a mandare in frantumi. Il fatto che le virtù siano collegate: l’umiltà con la forza, l’amore con la guerra, e che se tali virtù sono “scientificamente” (leggi modernisticamente) separate e perseguite singolarmente, deragliano. Un’umiltà talmente rimpicciolente che porta all’estinzione, un amore dissoluto che porta al mero piacere, una guerra che non serve a proteggere ciò che amiamo ma che è puramente rissa, invasione, ubriacatura. E il fatto che la religione mantenga l’equilibrio tra queste virtù apparentemente in conflitto, come la metafora dei bambini su di un’isola circondata da scogliere, in cui la religione (o la legge) è un grande muro che impedisce ai bambini di cadere dal precipizio. All’interno di quel muro, i bambini sono liberi di giocare e correre, felici e senza pensieri, come si può ancora vedere nella maggior parte dei paesi a forte sfondo cattolico. Se quel muro è abbattuto e non ci sono protezioni, i bambini smetteranno di giocare e si ritroveranno a sedersi in silenzio al centro dell’isola.
E per ultima una massima che è sembrata emergere dal mio stesso spirito, come se la ricordassi più che se la stessi scoprendo: “La tolleranza è la virtù di un uomo senza convinzioni”. Mi ha ricordato che la tolleranza è il valore principale delle democrazie multiculturali, perseguita da politici di tutti i colori come il santo graal. Così come l’uomo moderno sia in effetti del tutto privo di convinzioni, e di questo faccia sconclusionatamente motivo di vanto.
Sia benedetta la fame di verità di Chesterton, nato ateo nel Regno Unito, scopertosi naturalmente cristiano, morto fervidamente cattolico.

mercoledì 27 aprile 2011

La sapienza degli Alberi

Sono silenziosi, gli Alberi,
il vento li scuote e li piega, ma non riesce a strapparli via.
Essi accettano tutto quello che viene dal cielo,
la piggia e il sole, la neve e la grandine.
Sono gentili, gli Alberi,
essi ospitano gli uccelli del cielo.
Sono utili, gli Alberi,
distribuiscono gratuitamente i loro frutti.
Da quando nascono, da quando sono seme
e poi radice, germoglio, pianticella
sempre crescono guardando in alto
come dita puntate al cielo,
si nutrono della terra
ma al cielo desiderano appartenere.

Vita

Come non amare la Vita, questa gemma di luce che abbiamo nel cuore; questa scintilla, fiamma debole e tremolante, ma che sempre riscalda. La vita è crescita, è fiorire, è mutare, è andare avanti. E’ un mare infinito di possibilità, di strade, di scelte – e un intricato arazzo di relazioni con altre vite, altri esseri.
E’ curioso riflettere sulla nostra percezione del valore della vita: come la vita di un uomo abbia più valore della vita di un animale, o come la vita di un bambino abbia più valore di quella di un anziano; o come la vita di un gruppo di persone abbia più valore della vita di un singolo. Questo perchè abbiamo dentro di noi la consapevolezza del potere racchiuso nella vita umana, nelle cose grandi che l’uomo può fare rispetto alle altre forme di vita, del fatto che un bambino può portare la consapevolezza e lo spirito del genere umano più lontano nel tempo rispetto ad un anziano. La Vita è tempo; il tempo a disposizione di un individuo, e sta ad esso farne buon uso. Per questo anche il gruppo viene prima del singolo, perché il gruppo ha collettivamente più tempo e più possibilità rispetto al singolo per compiere la missione umana.
La missione umana, cosa che ci suona familiare, quasi ancestrale, e seppure indefinibile essa è sepolta in qualche anfratto del nostro cuore.
L’uomo avanza a tentoni nella Storia per compiere la sua missione, ostacolato naturalmente dalla curiosa brevità della vita umana. Ogni generazione è come una tabula rasa, che riparte da zero, riscoprendo sempre per la prima volta le sfaccettature della vita, imparando a vivere e a orientarsi nella giungla del mondo. Un uomo che non è mai naturalmente portato a pensare col respiro dell’eternità, ma che si perde subito nella concretezza del presente. Un uomo che paradossalmente non ha una coscienza vigile della sua mortalità, o nemmeno se ne cura, ma non per questo pensa con la prospettiva dell’infinito, ma sempre “naviga a vista”, come intrappolato nella tela della sua stessa esistenza, e per questo meno propenso a valorizzare la vita nel suo pieno dispiegamento.

giovedì 17 febbraio 2011

Gli occhi dello spirito

Come spiegare questa magia, questo gioco dell’universo: i nostri desideri che si avverano… Più che di desideri, si tratta di ciò in cui speriamo, delle cose su cui ci fermiamo a pensare, e verso cui ci orientiamo – quasi al punto in cui il presente sembra risucchiarci verso di esse. Sono come preghiere che per qualche strano miracolo l’universo coglie intorno a noi, e lentamente tutto predispone in mille piccoli passi affinché esse si realizzino. Sembra quasi che il nostro pensiero non sia così intangibile, così irreale come a volte crediamo; il nostro pensiero in qualche modo emana da noi e ricopre la realtà, non si limita a sfiorarla, ma la influenza, la amplifica e la completa. Pensieri, desideri, preghiere… l’attività del nostro spirito, del nostro essere, la luce o l’ombra che esce da noi. E ciò accade solo se ci disponiamo con serena spensieratezza, se ci abbandoniamo all'Essere con la fiducia degli infanti.
Siamo davvero ingenui, perduti nel nostro vivere sensibile. Crediamo in ciò che vediamo, ritenendolo oggettivo, validato sul piano sensoriale ed empirico, e quindi uguale per tutti e vero. Ma noi non vediamo solo cose, oggetti singoli, catalogati e indipendenti; vediamo situazioni, scenari, possibilità, interazione tra le cose. Vediamo il futuro delle cose, il loro poter e dover essere. Ciò che noi crediamo di vedere coi nostri occhi, vediamo in realtà con lo spirito, e lo spirito interviene già su queste cose prima ancora che lo facciano le nostre mani. Per questo se i nostri occhi sono nella luce, tutto il nostro essere è nella luce, e con esso illuminiamo anche ciò che sta attorno a noi: perché la realtà e l’uso che noi facciamo di essa, sono unicamente espressione del nostro spirito.