La questione del vittimismo occidentale apre una pletora di questioni tipicamente progressiste ed ottuse al punto del ridicolo. In particolare quando una parte sconnessa ed imprecisata di politici, enti e cittadini lancia un generico e pubblico appello in difesa di un “gruppo”: siano le donne, i gay, gli immigrati – in sostanza, le minoranze. Anche qui siamo al punto in cui battaglie sociali del passato, che senza dubbio avevano una profonda ragion d’essere cento anni fa, dopo aver raggiunto i traguardi prefissati hanno deciso di mantenere vita propria e continuare una battaglia all’infinito senza più alcun traguardo, per il puro gusto della battaglia e il fine malcelato di mantenere un potere e accrescere benefici di parte.
Anche qui ci sono caste e organizzazioni che prosperano sulla divisione tra maggioranze e minoranze, e hanno tutta la convenienza a mantenere acceso un preteso conflitto che giustifichi la loro stessa esistenza. Questi gruppi prosperano sul fatto che le minoranze siano deboli, e fanno il possibile affinché esse lo siano o continuino a credere di esserlo. Ancora peggio e più insultante per l’intelligenza delle persone, esse si elevano ad arbitri non richiesti delle discussioni e dei processi sociali, volendo giudicare dal predellino della loro superiorità morale fatti e situazioni che ormai dovrebbero essere riguardare i soli cittadini nei loro normali rapporti – suggerendo l’idea che i cittadini non siano capaci di far valere i propri diritti da soli, ma abbiano bisogno di essere imboccati.
Dopo questa descrizione mi accorgo che un’altra casta salta immediatamente agli occhi, ed è quella dei sindacati: essi hanno portato questo principio del vittimismo e della minoranza debole all’eccesso più sofisticato: partendo dalla missione originaria di aiutare i lavoratori a guadagnare di più, sono arrivati a quella di farli lavorare il meno possibile, accettando l’idea subdola che il lavoro sia una sorta di maledizione e che il benessere dei lavoratori non sia da essi stessi costruibile, ma vada strappato a chi offre loro il lavoro. Offendendo così l’intelligenza dei lavoratori (o assecondando l’opportunismo di alcuni di essi), e impedendo di fatto ogni flessibilità a chi ha invece voglia di lavorare senza riconoscersi negli schemi del sindacato.
lunedì 14 novembre 2011
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