venerdì 10 aprile 2009

Volontà

Come è semplice l'anima delle cose. Se ci soffermiamo con lo sguardo abbastanza, cercando di carpirne il senso nascosto, ci avviciniamo alle profondità di un pozzo di misteri, di piccole luci scintillanti, di segreti giocosamente sussurrati.
Cose grandi e piccole, vive e inanimate, calde e fredde. Alcune esistenti in natura, altre plasmate dall'uomo, tutte ormai gettate nella stessa arena, pedine nella scacchiera del mondo. E si muovono, si spostano, si avvicinano; ciascuna di per sè, ciascuna insieme a tutte le altre. Tutte unite nel gioco di attrazioni e repulsioni, di forze simili e contrarie, che tutto spinge verso nuovi e maggiori equilibri. L'equilibrio è una delle leggi più grandi dell'universo, tutto tende incessantemente verso di esso. Ma rimane una scintilla originaria, un impulso esterno, slegato, intangibile, da cui ciascun movimento procede; è la Volontà.
L'uomo stesso ne è esempio: ci è dato l'intelletto di discernere, ponderare e scegliere; e in base alla nostra volontà diamo una direzione al moto delle cose e degli eventi. Imprimiamo una spinta che orienta verso un nuovo equilibrio, diverso dal primo, i cui esiti spesso ci sfuggono, e ne diventiamo consapevoli solo ad equilibrio raggiunto.
Ci sono cose che non si possono descrivere, che non si possono comprendere; ma solo intuire, vedere come di riflesso, come luce troppo forte che filtra da dietro un velo. La ricerca, l'avvicinarsi, superare il velo: questa è la Tradizione, in cui il tempo si scioglie, e nel presente convivono passato e futuro perché tasselli dello stesso arazzo.

martedì 7 aprile 2009

Italia 06-04-09

Non so da che parte cominciare. Forse da quanto mi sembra strano: siamo abituati a vedere immagini come queste, anzi, le vediamo quasi tutti i giorni. I giornali ce le mostrano spesso, con macabro gusto. Ne vediamo anche di peggiori. Ma non mi aspettavo di vedere colpita l'Italia.
L'Italia pacifica, l'Italia pacata, l'Italia serena. L'Italia che rifiuta le guerre, l'Italia ingenua, l'Italia che c'è pane e vino per tutti. Un'Italia semplice e complicata, come tutti i paesi, fatta di gente buona e meno buona, ma che è sempre il nostro paese. Persone anche lontane, che magari non conosciamo, persone a cui non penseremmo mai. Quando però la morsa della vita si è serrata, riemerge con chiarezza quel filo sepolto, quel legame invisibile che fa degli altri italiani qualcosa di più. Più che semplici sfortunati, percossi dalla sorte. Più che semplici persone, più che i francesi, gli inglesi, gli spagnoli, i tedeschi. Sono italiani, sono come noi, più vicini e più fratelli di qualunque altro popolo. Sono persone che parlano le nostre lingue, si nutrono degli stessi alimenti, respirano la stessa aria, si animano per le stesse passioni, si siedono all'ombra dello stesso Spirito. Sono parte di noi, come noi siamo parte di loro; siamo tutti casa l'uno dell'altro, riflesso delle stesse luci.
I morti non ci sono più, c'è solo chi è rimasto. Sono porte che si chiudono, altre che si spalancano. In questo strano paesaggio della vita, un paesaggio di rovine, in cui non ha senso cercare spiegazioni o giustizia, perché la natura ha sempre ragione. Vite che si sono spente senza colpa, vite che si sono salvate senza ragione, e il sole che continua a splendere sopra tutti. Con calma, in silenzio. Rimane la fragilità degli uomini, la splendida impotenza, l'eterna infanzia a cui possiamo solo abbandonarci. Il disastro rimane solo un'occasione di riscatto per chi è rimasto di qua.

domenica 5 aprile 2009

Il giardino degli uomini


L’uomo non è diverso dalle piante che crescono sulla terra: alcune sono semplici fiori, fili d’erba, cespugli; altre salgono verso il cielo e sono alte, sempreverdi, oppure portano frutto. Alcune sono basse e modeste, ma armoniche, piene di colori. Altre sono solenni e maestose, silenziose, torreggiano su tutte le altre. Altre ancora sono invece sgraziate, spoglie, storte, senza frutto. Nonostante il padrone abbia dissodato la terra, le abbia innaffiate, le abbia lasciate al sole, queste non hanno restituito nulla.
Allora il padrone della terra camminerà nel suo giardino, si siederà all’ombra delle piante alte e dritte, e se ne compiacerà. “Più di tutte le altre, queste piante hanno desiderio del cielo”, dirà. Accarezzerà i fiori della terra, loderà gli arbusti e i loro profumi. I frutti portati dalle piante lo sazieranno, e le benedirà.
Ma la pianta storta, quella che non porta frutto, quella con le spine; che ne sarà di essa? “Ho lavorato per anni affinché prosperasse” dirà, “e invece è rimasta inerte, inutile, un obbrobrio alla vista. La estirperò, la taglierò e la brucerò, affinché i suoi semi non nascano più, e al suo posto pianterò i germogli della pianta che porta molto frutto”.
Nell’ultimo giorno “i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno un’arpa e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi”. Le preghiere dei santi sono profumo, cosa gradita alla Potenza.
Una santa descrisse così la felicità dei santi in paradiso: è pienezza. Ci sono tanti bicchieri, alcuni piccoli, altri grandi, altri grandissimi; ma sono tutti pieni. Così sono i santi, alcuni più grandi, altri meno, ma tutti colmi della grazia di Dio.