venerdì 8 maggio 2009

Crepuscolo

A prescindere dall'ispirazione mormonica o meno dei romanzi della Meyer, il primo film della saga - Twilight - nella sua semplicità e banalizzazione cinematografica propone un'enorme quantità di messaggi, assai più forti di quelli che una patinata locandina hollywoodiana potrebbe lasciar intendere.
E' una storia in cui i vampiri sono dei superuomini bellissimi, fortissimi, integerrimi, quasi dei santi moderni, il punto di arrivo della nostra civiltà; mentre gli uomini sono sgraziati, bruttini, sfigati, delle creature ancora in evoluzione. E' la storia di un grandissimo amore tra un bel vampiro e una bella ragazza solitaria, ma è un amore puramente istintivo, chimico: Edward impazzisce per il mero profumo di Bella. E' una forma di elezione basata sui sensi, in modo totalmente ancestrale - cosa semplicissima e allo stesso tempo dirompente. Bella vince il vampiro con l'odore (metafora molto primitiva della bellezza estetica) e conquista il ragazzo che tutte desiderano ma di cui nessuna è ancora degna.
Altra cosa curiosa, i vampiri detestano il loro stato - la loro malvagia immortalità, la loro perfezione - e bramano la linfa umana, la vita umana. Sono creature del male, senza speranza di salvezza divina, che però odiano la propria natura malvagia e aspirano ad una forma di vivere civile, cercando di guadagnarsi una salvezza "laica" combattendo il loro istinto diabolico. Sono demoni pentiti che rimpiangono la perduta natura umana, e cercano di viverne una parodia sperando che questo possa bastare a riscattarli. Non è forse la condizione dell'uomo che ha abbandonato Dio, l'uomo che vive in peccato mortale e che non trova una speranza al di là del mondo terreno?
Il vampiro è quasi paragonabile al superuomo nietzschiano, un uomo regredito allo stato primevo, al di là di bene, male, passato, futuro, salvezza possibili, che vive ogni giorno come un'eternità - trascorrendola nei divertimenti - e per cui l'eternità è come un giorno. Il suo progresso è la decadenza dalla condizione umana, per tornare più forte e insoddisfatto di prima ad uno stadio ancestrale. Ritorna cioè ad un giardino dell'Eden che è stato abbandonato da Dio, in cui l'unico albero rimasto in piedi è ironicamente un melo.

giovedì 7 maggio 2009

Superlativa normalità

Il mondo è bello perché è vario, ed è molto vario, e portandoci tutti gli uni più vicini agli altri sembra ancora più vario. A un punto che ci si chiede che cosa sia normale e cosa non lo sia più.
Non è facile definire la normalità tra gli uomini; anzi la parola comincia a suonarci noiosa, sinonimo di monotonia. Come un film che si è visto troppe volte, un copione sempre uguale a se stesso. Oggi desideriamo cose sempre diverse, soprattutto desideriamo essere diversi dagli altri e fare cose diverse. Come mai la normalità è diventata sospetta, indesiderabile? Cos'è la normalità?
La normalità è nascere e morire; lavorare, fare una famiglia, crescere dei figli. E' vivere una vita dignitosa, sopportando le difficoltà della vita senza essere noi stessi causa volontaria di strappi, rovesciamenti, ricerca di illusioni. E' una famiglia che non si separa e non litiga, è una casa ordinata, è un lavoro onesto. E' una rinuncia a se stessi per mettere qualcun altro al primo posto, per far funzionare insieme qualcosa. E' la forza di non scendere a compromessi facili, ma preferire la porta stretta che dà su di una retta via, una felicità costruita lentamente.
Messa così non è proprio facile la normalità, anzi ha un ché di straordinario, di sfidante. Non è il dipinto della famiglia perfetta, non è uno stereotipo: è uno sforzo personale, un desiderio di qualcosa d'altro, di qualcosa in più.
Non è vero che oggi cerchiamo invece proprio l'opposto? Siamo in un mondo che non valorizza il gruppo, la famiglia, ma che anzi spinge al protagonismo personale, all'accentuazione sfrenata di caratteristiche individuali (estetica, personalità, modi di fare, abilità particolari). E' importante essere qualcuno, ed essere circondato da qualcuno. Per questo a volte non ha importanza sposarsi e separarsi, abortire, abortirsi, avere esperienze sessuali di ogni tipo, concedersi dei lussi. Molte di queste scelte sono spesso causate da grossi problemi, paure, fretta, e non si può generalizzare; ma la responsabilità delle proprie scelte rimane. Ciò che manca è una consapevole prospettiva del futuro: dove sto portando la mia vita e la mia storia? Dove voglio arrivare? Traguardi ambiziosi cercasi. Invece sembra contare solo l'io e l'ora.

mercoledì 6 maggio 2009

Calma andreottiana

Mi stupisce e mi piace la calma andreottiana, una calma che solo pochi individui - politici o meno - riescono a conquistare. L'arena della vita ci getta addosso ogni giorno un'infinità di problemi e tempra la nostra pazienza come un maglio incessante. Quante occasioni abbiamo ogni giorno per perdere la testa dal nervosismo? Per abbandonarci e cedere ai colpi che ci arrivano? E probabilmente sono poca cosa rispetto al fango, all'ipocrisia, alla negatività che si respira in politica, dove fatti e verità divengono quotidiani esercizi di manipolazione e di sofismo. Dove le persone sono oggetto di attacco diretto, personale, opportunistico, spietato. Dove si può trovare la forza per sopportare tutti questi problemi con un onesto sorriso sulle labbra?
Credo che tra le varie risposte ci sia una grande comprensione della natura umana e dei rapporti tra gli uomini. Comprendere che l'uomo è piccolo, ha piccole ambizioni, non riesce a guardare lontano. E' un uomo con tante paure, tante debolezze, un uomo che crede sempre di essere nel giusto e che le proprie ragioni valgano più di quelle degli altri. Un uomo egoista che non si avvede del proprio egoismo, che anzi riesce a guardarsi allo specchio e lodarsi per la propria generosità. Non è dagli uomini con una grande anima che scaturiscono mali ed offese, volgarità e intolleranza, ma da quelli che ancora non hanno trovato il proprio spirito, la luce al di là del tunnel della vita.
Si può affrontare con calma uomini di questo tipo solo vincendoli con l'intelligenza dello spirito, solo perdonandoli in grazia dei loro limiti. Ma anche riuscendo a dare il giusto peso alle cose, avendo la certezza delle cose importanti e ignorando tutto ciò che di negativo e di passeggero non merita alcuna attenzione.

lunedì 4 maggio 2009

Costituzione


È veramente interessante leggere i testi costituzionali dei principali paesi occidentali, permette di farsi un’idea sulle forme e i cardini su cui si costituisce il gruppo. Rappresenta la sintesi della storia e dei principi su cui si è fondato ed evoluto lo stato, riflette i tempi e il passaggio dei tempi.
Ancora più interessante è leggere gli statuti del passato, o leggere le costituzioni di paesi lontani ed esotici, per farsi una vera idea della differenza tra le prospettive nazionali.
Questi testi costitutivi hanno però un fascino particolare, quasi religioso, poiché delineano una sorgente: rappresentano l’origine della legge da cui a cascata nasce l’ordine quotidiano della società.
Dell’Italia diciamo spesso che ha una costituzione rigida e poco flessibile, ed è certamente vero; cosa che da un lato garantisce un solido appiglio ad una democrazia che fin dall’inizio si è compreso essere debole, e bisognosa di crescere; dall’altro crea un impedimento alle eventuali necessità di reagire anche a livello costitutivo al cambiamento dei tempi. Un tema su cui la costituzione è rimasta saggiamente flessibile è l’articolo 69: “i membri del Parlamento ricevono un'indennità stabilita dalla legge”, lasciando “alla legge” (e cioè gli stessi membri del Parlamento) la libertà di stabilirla come vogliono. In tal senso era forse più apprezzabile dagli elettori l’articolo 50 del vecchio Statuto albertino secondo cui “le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità”. Un bel cambiamento dalla monarchia alla repubblica.
Tornando all’attuale costituzione, nonostante la laicità sempre più pronunciata delle istituzioni, sorprende con piacere un articolo 4 secondo cui “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Il lavoro, cioè, oltre ad essere un diritto è anche un dovere; ma un dovere a cui è associato uno scopo: quello di un progresso, una crescita, un miglioramento. Cosa ancora più sorprendente, questo miglioramento non è necessariamente solo materiale, ma anche spirituale: la costituzione riconosce una necessità di sviluppo spirituale per la società stessa - non solo per l’individuo - e la promuove come missione doverosa del lavoro.
Aspetti meno liberali sono contenuti nella sezione sui rapporti economici (che curiosamente sono riportati prima dei “rapporti politici”), in particolare l’articolo 36 che recita: “la durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”. Tutte ottime intenzioni, ma che non vanno nel segno della libera iniziativa dei cittadini. Ancora peggiore l’articolo 39, secondo cui “ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. I sindacati possono stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”. I sindacati sono pertanto organizzazioni pressoché prive di trasparenza, senza vincoli, ma in grado di gettare vincoli sostanziali per una serie di persone.
Altra cosa difficilmente spiegabile è come si possano desiderare (e mantenere) seicentotrenta deputati e trecentoquindici senatori.