Significa fidarsi completamente di Dio, come un bambino si
fida serenamente del padre e della madre. Significa af-fidarsi completamente al
messaggio della Chiesa, non in una o due parti che ci piacciono, ma in tutte,
perché della Chiesa riconosciamo l’autorità e l’autorevolezza. Come detto
saggiamente dal filosofo cattolico Josef Pieper, credere significa “partecipare
alla conoscenza di colui che conosce”: è una scelta autonoma e razionale, ma
richiede l’umiltà e la capacità di comprendere anche ciò che non è
immediatamente comprensibile, o risulta più difficile praticare.
Nel caso dei cristiani, credere alla Chiesa non significa
credere alla curia, al vaticano, a degli uomini in carne ed ossa, che santi non
sono fino a prova contraria dopo la loro morte, ma significa credere ad un
messaggio spirituale estremamente chiaro e preciso, completo, convalidato da
segni concreti e soprannaturali nel corso di millenni.
Ancora più, avere fede vera significa comprendere con
chiarezza la natura umana e la situazione umana, alla luce dell’insegnamento
cristiano: che Dio esiste e ci ama fino ad umilare se stesso per insegnarci la
via; che la vita è breve, e la maggior parte di ciò che facciamo è transitorio
e irrilevante; che la vera vita, quella eterna, comincia dopo una breve vacanza
sulla Terra; che la ricompensa della salvezza è indescrivibile, è una corona
d’oro tempestata di gemme, una felicità assoluta, completa e infinita; che
l’amore è la realtà intrinseca del tessuto dell’universo, è il nostro dovere, è
ciò che Dio vuole da noi. Che Dio è veramente in ciascuno di noi, quando per
nostra libera volontà la grazia dello spirito crea in noi un giardino
spirituale in cui Dio gradisce sostare. E che Dio è davvero nel povero, nel
malato, nel bisognoso, nell’innocente, e se noi credessimo davvero al
comandamento di “amare il prossimo come noi stessi” non riusciremmo a mantenere
gli occhi sulla metà delle cose che vediamo ogni giorno: sfortunati, senza
casa, malati, indesiderati. Preferiremmo perdere il sonno, saltare pranzi e
cene, uscite e divertimenti pur di aiutare chi soffre; e non dico perché
vediamo Dio in costoro, ma perché semplicemente riusciamo a metterci nei loro
panni. Se davvero credessimo che Dio è nei poveri, non daremmo loro qualsiasi
cosa abbiamo, faremmo qualsiasi cosa, desiderosi di dare a Dio ciò che è già suo, di ringraziarlo e di ottenere l’eterna ricompensa?
La fede si vede solo dalle opere, non ci possiamo illudere
d’averla nel nostro cuore perché ce lo diciamo da soli o perché andiamo a messa
la domenica. Se amassimo il prossimo come noi stessi non giudicheremmo, non
criticheremmo, non scherzeremmo in modo impietoso, non malediremmo, non
sbufferemmo, non rimproveremmo senza carità, non saremmo rudi o volgari, ma
cercheremmo con ogni azione di aiutare il prossimo nel bene materiale e ancora
più in quello spirituale, perché se è importante dare del pane a chi non ne ha,
non è ancora più importante aiutare un’anima a trovare una ricompensa eterna,
piuttosto che una perdizione eterna?
Ancora di più, chi al giorno d’oggi offre volontariamente e
con gioia a Dio sacrifici e sofferenze di ogni giorno in espiazione per i
propri peccati? E quanti sono i nostri peccati! Noi usiamo ogni artificio del
pensiero per convincerci che i peccati sono idee di un passato oscurantista,
che le grandi rivoluzioni liberali del mondo moderno hanno abbattuto, e
pertanto ciò che un tempo valeva come peccato, oggi non vale più. La nostra
superbia ci dice che ne sappiamo più noi della Chiesa, che il Vangelo è stato
scritto molto tempo fa e quindi dovremmo applicarlo coerentemente alla
sensibilità di oggi, smussandone gli angoli, alleggerendone i messaggi, convincendoci
di conoscere le leggi dell’universo meglio di Dio stesso. Come formiche che
vogliono insegnare allo scultore come si fa il lavoro.
Questa invece è la fede: quella di esultare quando siamo
umiliati, insultati, motteggiati, feriti, perseguitati, perché si tratta di
grandi opportunità che ci vengono offerte per dare testimonianza cristiana, per
affermare la carità, per salvare la nostra anima e quella degli altri. Avere fede
significa perdonare sempre a tutti, con gioia, e tenere il nostro interesse
materiale in minima considerazione, perché molto di più abbiamo da ricevere, e
perché facendo queste cose accendiamo un fuoco interiore il cui felice calore
può consumarci come un incendio, dando convinzione e ricompensa immediata al
nostro agire disinteressato.
Siamo così lontani nel tempo e nella mentalità che è quasi
impossibile comprendere la fede dei primi cristiani, assistiti dagli apostoli,
accesi e illuminati dal calore della torcia viva appena passata sul mondo.
Cristiani che si offrivano volontariamente e gioiosamente al martirio,
confortati dalla fede incrollabile che un attimo di sofferenza in un mondo che
già è sofferenza è ricompensato infinitamente nella vita nuova. Che
testimonianza hanno offerto essi al mondo pagano! Un mondo che amava il corpo,
il potere, il divertimento, il benessere, un mondo che esisteva solo per la
Terra, e mai alzava gli occhi al cielo, perché i suoi dèi e i suoi idoli
abitavano la Terra stessa. Esattamente un mondo come quello di oggi, in cui
alzare gli occhi al cielo per tenerli fissi sulla ricompensa futura è follia.
Povera la nostra fede! Che desiderio può avere alcuno di
scaldarsi al fuoco della Cristianità se essa è ridotta a un lumicino che non
scalda? Che nutrimento spirituale può trovare un non credente nei cibi diluiti
e annacquati di cristianesimi che predicano misericordia per tutti a costo
zero?