sabato 13 luglio 2013

Fede

Mi sto rendendo conto lentamente di quanta poca fede abbia il mondo di oggi. Non tanto perché ci siano più atei dichiarati di una volta, o perché la stragrande maggioranza dei cristiani sia tale di nome ma pagana di fatto. Ma perché il principe di questo mondo ha sapientemente spezzato la fede con la F maiuscola in molti modi, al punto che forse pochi la ricordano. La fede che può spostare le montagne... Cosa significa?
Significa fidarsi completamente di Dio, come un bambino si fida serenamente del padre e della madre. Significa af-fidarsi completamente al messaggio della Chiesa, non in una o due parti che ci piacciono, ma in tutte, perché della Chiesa riconosciamo l’autorità e l’autorevolezza. Come detto saggiamente dal filosofo cattolico Josef Pieper, credere significa “partecipare alla conoscenza di colui che conosce”: è una scelta autonoma e razionale, ma richiede l’umiltà e la capacità di comprendere anche ciò che non è immediatamente comprensibile, o risulta più difficile praticare.
Nel caso dei cristiani, credere alla Chiesa non significa credere alla curia, al vaticano, a degli uomini in carne ed ossa, che santi non sono fino a prova contraria dopo la loro morte, ma significa credere ad un messaggio spirituale estremamente chiaro e preciso, completo, convalidato da segni concreti e soprannaturali nel corso di millenni.
Ancora più, avere fede vera significa comprendere con chiarezza la natura umana e la situazione umana, alla luce dell’insegnamento cristiano: che Dio esiste e ci ama fino ad umilare se stesso per insegnarci la via; che la vita è breve, e la maggior parte di ciò che facciamo è transitorio e irrilevante; che la vera vita, quella eterna, comincia dopo una breve vacanza sulla Terra; che la ricompensa della salvezza è indescrivibile, è una corona d’oro tempestata di gemme, una felicità assoluta, completa e infinita; che l’amore è la realtà intrinseca del tessuto dell’universo, è il nostro dovere, è ciò che Dio vuole da noi. Che Dio è veramente in ciascuno di noi, quando per nostra libera volontà la grazia dello spirito crea in noi un giardino spirituale in cui Dio gradisce sostare. E che Dio è davvero nel povero, nel malato, nel bisognoso, nell’innocente, e se noi credessimo davvero al comandamento di “amare il prossimo come noi stessi” non riusciremmo a mantenere gli occhi sulla metà delle cose che vediamo ogni giorno: sfortunati, senza casa, malati, indesiderati. Preferiremmo perdere il sonno, saltare pranzi e cene, uscite e divertimenti pur di aiutare chi soffre; e non dico perché vediamo Dio in costoro, ma perché semplicemente riusciamo a metterci nei loro panni. Se davvero credessimo che Dio è nei poveri, non daremmo loro qualsiasi cosa abbiamo, faremmo qualsiasi cosa, desiderosi di dare a Dio ciò che è già suo, di ringraziarlo e di ottenere l’eterna ricompensa?
La fede si vede solo dalle opere, non ci possiamo illudere d’averla nel nostro cuore perché ce lo diciamo da soli o perché andiamo a messa la domenica. Se amassimo il prossimo come noi stessi non giudicheremmo, non criticheremmo, non scherzeremmo in modo impietoso, non malediremmo, non sbufferemmo, non rimproveremmo senza carità, non saremmo rudi o volgari, ma cercheremmo con ogni azione di aiutare il prossimo nel bene materiale e ancora più in quello spirituale, perché se è importante dare del pane a chi non ne ha, non è ancora più importante aiutare un’anima a trovare una ricompensa eterna, piuttosto che una perdizione eterna?
Ancora di più, chi al giorno d’oggi offre volontariamente e con gioia a Dio sacrifici e sofferenze di ogni giorno in espiazione per i propri peccati? E quanti sono i nostri peccati! Noi usiamo ogni artificio del pensiero per convincerci che i peccati sono idee di un passato oscurantista, che le grandi rivoluzioni liberali del mondo moderno hanno abbattuto, e pertanto ciò che un tempo valeva come peccato, oggi non vale più. La nostra superbia ci dice che ne sappiamo più noi della Chiesa, che il Vangelo è stato scritto molto tempo fa e quindi dovremmo applicarlo coerentemente alla sensibilità di oggi, smussandone gli angoli, alleggerendone i messaggi, convincendoci di conoscere le leggi dell’universo meglio di Dio stesso. Come formiche che vogliono insegnare allo scultore come si fa il lavoro.
Questa invece è la fede: quella di esultare quando siamo umiliati, insultati, motteggiati, feriti, perseguitati, perché si tratta di grandi opportunità che ci vengono offerte per dare testimonianza cristiana, per affermare la carità, per salvare la nostra anima e quella degli altri. Avere fede significa perdonare sempre a tutti, con gioia, e tenere il nostro interesse materiale in minima considerazione, perché molto di più abbiamo da ricevere, e perché facendo queste cose accendiamo un fuoco interiore il cui felice calore può consumarci come un incendio, dando convinzione e ricompensa immediata al nostro agire disinteressato.
Siamo così lontani nel tempo e nella mentalità che è quasi impossibile comprendere la fede dei primi cristiani, assistiti dagli apostoli, accesi e illuminati dal calore della torcia viva appena passata sul mondo. Cristiani che si offrivano volontariamente e gioiosamente al martirio, confortati dalla fede incrollabile che un attimo di sofferenza in un mondo che già è sofferenza è ricompensato infinitamente nella vita nuova. Che testimonianza hanno offerto essi al mondo pagano! Un mondo che amava il corpo, il potere, il divertimento, il benessere, un mondo che esisteva solo per la Terra, e mai alzava gli occhi al cielo, perché i suoi dèi e i suoi idoli abitavano la Terra stessa. Esattamente un mondo come quello di oggi, in cui alzare gli occhi al cielo per tenerli fissi sulla ricompensa futura è follia.
Povera la nostra fede! Che desiderio può avere alcuno di scaldarsi al fuoco della Cristianità se essa è ridotta a un lumicino che non scalda? Che nutrimento spirituale può trovare un non credente nei cibi diluiti e annacquati di cristianesimi che predicano misericordia per tutti a costo zero?