sabato 18 aprile 2009

Parole, parole

Alcuni recenti scandali televisivi hanno rilanciato il dibattito sulla libertà di parola, che sembra essere poco presente in Italia.
Quella di parola torna ad essere una libertà scomoda, per varie ragioni. Un’altra di quelle libertà che, se ci fosse un arbitro imparziale in possesso della Verità sui fatti, non sarebbe necessario concedere; ma poiché a nessuno in democrazia è consentito dire ciò che è giusto o sbagliato, ma solo ciò che pensa, si ricade in quelle situazioni di relativismo già descritte in cui, nella sostanza, giusto e sbagliato trovano ad avere la stessa legittimità. E’ uno dei fallimenti morali della democrazia, anche se viene accettato per il bene superiore della collettività, cioè la salvaguardia della democrazia stessa. Se il custode della Verità ci fosse, infatti, sarebbe un tiranno; e il rimedio alla tirannia è l’amaro calice di bene e male rimescolati, tollerati, superati, nella possibilità di dipingere il re nudo.
Si dice che una democrazia che consente la massima libertà di parola è una democrazia forte, una democrazia matura, che ha gli strumenti per gestire il “caos” delle libertà. Sicuramente vero; fermo restando che alle istituzioni dovrebbe spettare un ruolo di arbitro, almeno morale: infatti chi può dire ciò che è bene o male per la comunità se non i suoi rappresentanti? E il fine dei rappresentanti, il fine della democrazia, quale è, se non gestire l’organizzazione della vita in un modo sempre migliore, che permetta la crescita e il rafforzamento del gruppo? Se pertanto uno dei pregi della democrazia è avere elementi centrifughi che vadano “contro” il gruppo stesso, è tuttavia importante che il gruppo si tuteli affinché tali spinte non diventino disgreganti, e vanifichino lo stesso scopo della democrazia.
La libertà di parola, pertanto, è legittima in ogni ambito della vita personale; ma va necessariamente limitata nella sfera pubblica - in particolare nei media, quando a parlare non sono i rappresentanti diretti del popolo. Un conto è fare due chiacchiere al bar; un altro è dire le stesse cose su una rete televisiva nazionale, con un potere di diffusione enorme, non essendo stati prima legittimati ad essere “voce del popolo” (cioè rappresentanti e organo della democrazia).
Se infatti un rappresentante del popolo dovrebbe godere il massimo diritto di libertà di parola nei confronti del pubblico, e avere la possibilità di raggiungere il massimo numero di individui, non così dovrebbe essere per un qualsiasi cittadino che parla solamente per sé, ma le cui opinioni – che vanno ad assumere lo stesso peso, o anche superiore, di quelle di un rappresentante del popolo – possono arrecare un grave danno alla coesione e all’armonia sociale, un bene che di questi tempi è senza prezzo.

martedì 14 aprile 2009

Eroi - J.R.R. Tolkien


Scrittore, poeta, filologo. Combattente volontario nell'esercito britannico durante la prima guerra mondiale, professore di lingua e letteratura inglese a Oxford, proclamato cavaliere - col rango di Comandante - del Supremo Ordine dell'Impero Britannico dalla regina Elisabetta II. Ma soprattutto un grande cattolico, un uomo semplice, marito e padre di famiglia. Nato a Bloemfontein in Sud Africa nel 1892, visse a Oxford per la maggior parte della sua vita e morì a Bournemouth nel 1973.
I dati salienti della sua vita si possono facilmente trovare in rete, ma difficilmente possono dare un'idea completa di questo eroe della Tradizione. Tolkien ha visto, compreso e assimilato lo spirito della sua terra, restituendolo in un'opera nuova, in modo che si aprisse alle menti di tutti. Uno spirito antico e nuovo, semplice e potente, tanto puro da essere inebriante; uno spirito che lui ha raccolto e condensato alla luce della sua fede, distillandolo come un mosaico di stupenda bellezza. Le sue opere hanno il profumo dell'erba e della terra, di fiori e piante, di amore per le cose che crescono. Di allegria e semplicità, di aspirazione per ciò che è bello, di grandi sacrifici da parte di piccola gente. Il suo capolavoro ha il respiro del tempo che passa, delle epoche che si susseguono; mentre sempre più si allenta il legame tra l'uomo e il suo Creatore, e la Verità diventa pian piano un tesoro di segreti di cui solo pochi serbano ancora il ricordo.
Troppo grande, troppo ricco, troppo attuale - sempre vero, nell'eternità del mito - non sembra esista un altro scrittore che abbia potuto ripetere un'opera di "sub-creazione", come Tolkien amava definire le opere degli uomini, così verosimile a quella della creazione originaria. Ne dovremo parlare ancora.

domenica 12 aprile 2009

Proiezioni

Manzoni parlava del vizio dell'uomo di "riferir tutto a se stesso", di usare il proprio ego come riferimento per misurare il mondo, per relazionarsi con gli altri, per giudicare. Di collocare se stessi al centro della situazione, come se tutto ciò che accade fosse in dipendenza da noi e parlasse di noi.
Ed è certamente umano e inevitabile, se non necessario, che riferiamo tutto a noi stessi, poiché le scelte che facciamo sono per lo più frutto della nostra personale esperienza. Possiamo imparare la pazienza, la saggezza, il discernimento - e sospendere il giudizio, in modo più o meno critico - resta il fatto che lo spettro di posizioni che riusciamo ad assumere, gli angoli e le diverse prospettive da cui riusciamo a vedere la realtà, dipendono dagli strumenti che ci siamo costruiti nel tempo - il nostro bagaglio.
Un altro modo con cui si può esprimere questo concetto è "chiave di lettura", di interpretazione della realtà.
Tutti hanno la propria chiave di lettura, unica e personale, anche se si può notare come esistano dei gruppi di interpretazione piuttosto omogenei. La chiave di lettura serve per farci arrivare alla comprensione di ciò che non è possibile conoscere con i sensi, ciò che non è dimostrabile scientificamente. Vorrebbe cogliere in particolare l'"anima" degli uomini, i loro pensieri, le loro intenzioni. La chiave di lettura mette insieme i movimenti, le azioni, i comportamenti degli individui, rielabora tutte queste informazioni, e da esse ci consente di dedurre quale sia il motore che spinge una particolare persona a fare quello che la vediamo fare. Un motore che non vediamo, una spinta che non conosciamo - possiamo solo cercare di avvicinarci e di capire. Spesso la chiave di lettura funziona proprio così, mettendo noi stessi dei panni degli altri; ma non nella prospettiva di "comprendere" qualcosa di esterno, appunto l'"altro", ma per riuscire a descrivere il comportamento degli altri basandoci su di noi: ciò che noi faremmo, penseremmo, intenderemmo, se ci stessimo comportando alla stessa maniera. Stiamo cioè semplicemente proiettando noi stessi sugli altri e sulla loro situazione.
Ipotizziamo di passeggiare per strada, e di vedere un povero che si toglie il cappello al passare di un potente. Per quale ragione può averlo fatto?
Può averlo fatto per una manifestanzione di sottomissione, di inferiorità, e perché le convenzioni sociali del suo tempo impongono - o costringono - a mostrare tale condizione. L'avrà fatto pertanto controvoglia, ipocritamente, perché costretto dalla sua umile situazione. Oppure l'ha fatto perché ha desiderio di ricevere favori, assistenza, protezione. L'ha fatto per motivi utilitaristici, ed il rispetto che manifesta è soltanto una forma di corrispettivo per qualcosa che si aspetta di ricevere in futuro, o che ha ricevuto in passato. Oppure l'ha fatto per pura cortesia, educazione, perché così fa al passare di chiunque altro di sua conoscenza; e si sente meglio a fare un gesto di cortesia disinteressato piuttosto che uno ipocrita.
Una di queste possibilità è vera, e non potremo mai sapere quale; possiamo solo "sceglierla". Quale sceglieremo pertanto? La risposta saà la nostra proiezione, rappresenta la nostra chiave di lettura e ci aiuta a capire meglio chi siamo noi stessi. Resta il fatto che, mentre è assai più facile accettare le prime soluzioni, quelle negative, risulta più difficile oggi credere in quella positiva; la grande categoria marxista-scientifica ha devastato l'anima dell'uomo come possibilità di avere buone intenzioni, riconducendo tutto ad un gioco causa-effetto di necessità materiale, di conflitto infinito per le risorse, di armonia sociale basata sul livellamento degli uomini allo stesso massimo (o minimo) comune denominatore.
"La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!" Come pure è stato detto, "non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo! Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore, questo rende immondo l’uomo".