domenica 5 dicembre 2010

Pensieri

Ho visto le generazioni degli uomini, le perle degli anni
Come gocce di pioggia cadute nel mare
Come sorgenti, tuffarsi nel fiume
Ho visto il vento attraversare i boschi nella notte
Accarezzare l’erba nei prati
Sentivo il respiro della luna, e delle creature sotto di essa
Prima che un bagliore sfiorasse le cime dei colli
Mi sono risvegliato nella luce per lunghissimi anni
Quando abitavo la casa sulla collina
E il mio spirito avvolgeva la valle, sopra di essa aleggiava come un custode fedele.

venerdì 20 agosto 2010

Vincere il mondo


Uno dei doni e dei poteri più grandi che l'uomo abbia è il pensiero. Se infatti il mondo esterno ci è davanti agli occhi ed "esiste" come realtà concreta, in un certo senso statica o inerziale, il nostro pensiero supera la realtà e la elabora, la ricrea, la plasma in nuove forme, la arricchisce di dettagli, la moltiplica. L'uomo nel suo pensiero rende il mondo infinito, lo espande, e in un certo senso lo ricomprende e lo ingloba portandolo dentro di sé. L'uomo ha il potere di superare e cambiare il mondo. Questo è l'idealismo.
Adesso un po' di domande: si può cambiare il mondo? Si può cambiare se stessi? Si può essere perfetti? Il mondo è bianco, nero o grigio? Il lavoro è un'opportunità o una sventura? Sacrificio: valore o mito? Purtroppo non possiamo fare salti indietro nel tempo, ma sarebbe estremamente interessante fare questo sondaggio agli uomini di oggi, 50, 100, 300, 500 anni fa, e vedere come variano i risultati.
Oggi crediamo fermamente che il mondo sia grigio, che forse si può cambiare ma molto lentamente, e in generale le persone non cambiano, ma anzi "nascono così" (buone o cattive, intelligenti o stupide, atei o credenti, gay o etero, fedeli o infedeli, eccetera) sottintendendo che così dovrebbero rimanere fino alla morte. Anzi, è sempre più importante "essere se stessi" e approfondire le proprie spigolosità, per distinguersi dagli altri, per essere folli a modo nostro, per ottenere successo dalla vita rimuovendo qualsiasi freno specialmente mentale o morale che per varie ragioni possiamo avere. Il lavoro è un male necessario per consentirci di vivere il meglio possibile, faticando il meno possibile.
Invece possiamo cambiare, e abbiamo il dovere di ricercare la perfezione in tutto. Quante cosa potremmo imparare, e quanto di noi possiamo migliorare?
L'uomo non è di questo mondo, e prova di ciò è in questo dono che esso ha. Nel mondo i sassi rotolano dal monte fino a valle, ma l'uomo ha il potere di raccogliere il sasso e riportarlo in cima al monte, se lo desidera. In un universo di entropia e disordine, l'uomo con lavoro e fatica può dare ordine al caos. Deve solo volerlo, e cioè compiere una scelta.
Il mondo è oggi certamente grigio, ma l'uomo ha il potere di separare il nero dal bianco, e di schiarire il grigio di questo mondo. Può tirare la corda da una parte o dall'altra, o non tirarla affatto - questa è la sua scelta. Il grigio è comodo, tranquillizzante, moderato, specialmente se restiamo incrostati nell'idea che non si possa vivere diversamente.
Tuttavia ci sono scelte nobili, coraggiose, difficili; modi di essere improntati a regole e principi dimenticati; volontà che si sottraggono al bombardamento di esempi negativi del mondo moderno. Per cui mi sembra lecito affermare che ciascuno di noi è esattamente ciò che vuole essere. Il risultato di idee a cui si è aggrappato, idee che per lo più vengono dall'esterno piuttosto che dalla nostra logica, costruendo progressivamente un'identità che è tuttavia questo: costruzione. E le costruzioni possono essere ristrutturate, abbattute e riedificate.
Se la volontà di cambiare se stessi e il mondo è vera, tanto vera che si è disposti a sforzarsi e a perseverare pur di realizzare il sogno che abita nei nostri pensieri, il miracolo è già compiuto.

giovedì 19 agosto 2010

Il tramonto degli eroi


Il 10 maggio 2010 ci ha lasciati Frank Frazetta. Nome sconosciuto ai più, ma assai più conosciuti sono i suoi dipinti che da decenni continuano ad essere utilizzati come illustrazioni e copertine di libri del genere fantastico. Un genio impressionante e insuperato, i suoi quadri hanno il respiro degli anni in cui l'Occidente era felice e giovane, spensierato e fiero della propria forza. La vitalità dei suoi personaggi è ineguagliata, così come la sua comprensione quasi spirituale di culture e simboli ancestrali, e la nostalgia di un passato e di un futuro ideali nella loro purezza. I suoi uomini sono tutti eroi, le sue donne sono principesse da conquistare, i suoi nemici sono esseri malefici da sconfiggere a qualsiasi costo.
Come per i suoi personaggi, la sua è una storia di valore e coraggio. Quando nel 2000, all'età di 72 anni, perse in seguito ad un ictus l'uso della mano destra con cui dipingeva, imparò a dipingere con medesimo successo usando la sinistra.
"What I do is create images, period." Così descriveva il suo lavoro, ed era vero - lui "creava" immagini, cose che non c'erano, e in quelle immagini c'era tutto un mondo perfettamente articolato e palpabilmente vivo. Le sue immagini sono fotografie di altri mondi e di altri tempi, ma veri, completi e reali come il nostro. Come nessun altro artista i suoi quadri non evocano solamente stupore, meraviglia per il soggetto extra-ordinario, ma destano ricordi e nostalgia. Sembra che le sue immagini parlino di fatti avvenuti, vicini a noi, dietro la porta di un passato o di un futuro non distanti. Sono fatti che ci riguardano e che vorremmo vivere o rivivere in prima persona, e che ci chiamano dentro il dipinto. Sono immagini di mondi e creature di sconcertante bellezza e virtù, che sempre più contrastano con lo spirito cinico e ingrigito del nostro mondo moderno. Frank Frazetta non poteva lasciarci più di quanto ci abbia lasciato.

martedì 1 giugno 2010

Terapia

Si è parlato qualche tempo fa della mancanza di responsabilità della nostra gente, e in particolare della mancanza di voglia o di coraggio di assumersi responsabilità. Credo che le cause di questo problema siano di triplice natura:
1) cause strettamente culturali e connesse ad una certa rilassatezza del nostro Paese, specie in campo lavorativo: non assumersi responsabilità è facile, e se possiamo evitarlo saremo propensi a cogliere l'occasione (particolarmente se tale pratica è diffusa)
2) classe politica: una classe che ha viziato e strapagato il consenso elettorale dei suoi cittadini, educandoli al benessere dei diritti senza doveri ed alla "necessità" di una macchina burocratica pervasiva in grado di svolgere qualsiasi mansione
3) magistratura: un potere sgocciolante e autoreferenziale, lento e impacciato nell'agire, che dà la percezione di non punire chi andrebbe punito ma d'incancrenirsi su facezie con zero flessibilità e poco buon senso. Se la polizia non può agire con fermezza perché sente il peso della mannaia giudiziaria; se il cittadino non ha un diritto forte all'autodifesa all'interno della sua proprietà privata; se un medico rischia una causa ogni qualvolta il risultato del suo intervento non è soddisfacente: conviene non assumersi responsabilità.
Eco a tutto ciò è poi il lavoro della stampa, che troppe volte sembra agire in modo puramente spettacolare e opportunistico, creando divisione e scandalo anche dove non ce ne sarebbe bisogno. Ciò non vuol dire che la libertà di stampa debba essere limitata, ma solo che i giornalisti dovrebbero essere intellettualmente più onesti e meno sensazionalisti.
Può sembrare antiquato, ma la propaganda da parte del Governo con i mezzi di informazione (in particolare quelli pubblici) dovrebbe essere usata in modo più massiccio per educare la gente ad una sensibilità diversa. Propaganda suona molto male in un paese che ha vissuto una dittatura, chiamiamola allora pubblicità; ma non è forse dovere del Governo educare i cittadini a certi principi fondativi?
La classe politica inoltre dovrebbe prendere coraggio ed essere orgogliosa di compiere scelte impopolari; perché il nostro popolo, nonostante sia lazzarone, rimane un popolo che ammira leadership e coraggio, valori che quasi lo turbano (data la loro quasi totale assenza negli ultimi decenni) e di cui ha bisogno come una pecora del pastore. Un popolo che, abituato a sputare nel piatto in cui mangia, disprezza immediatamente una classe politica viscida che si prostituisce nell'adularlo a qualsiasi costo. L'italiano è un popolo che sa ingoiare la pillola se gli vengono date valide motivazioni per farlo, e la politica deve avere il coraggio di dire al popolo che si deve svegliare, che deve sognare e ritrovare la speranza nel futuro. Deve dire al popolo che il vecchio Stato ha fallito, e che la risposta sono i cittadini - e al contempo promuovere iniziative che restituiscano nobiltà al lavoro statale e facciano sentire giustamente premiato chi compie il proprio dovere.
E la magistratura va riformata: processo breve, separazione delle carriere, responsabilità dei giudici, minore mediaticità dei processi, e soprattutto un orientamento (perché le leggi sempre s'interpretano) al buon senso e alla responsabilizzazione dei cittadini.

mercoledì 31 marzo 2010

Voglia di futuro

Festeggio la vittoria del fronte conservatore, e non faccio a meno di notare come ormai le tornate elettorali non siano diverse da una partita di calcio. L'esercizio di propaganda, la partigianeria dei tifosi, l'attesa, i festeggiamenti sfrenati da un lato e il bruciore della sconfitta dall'altro. Gli italiani sono giocatori e spettatori, i politici sono allenatori e arbitri.
La caciara da stadio è però anche indicativa dello spirito con cui i politici affrontano il loro mestiere. Il benessere comune e l'assenza di problemi concreti ha trasformato la classe politica in grandi venditori di fumo. Non sono amministratori, non hanno una visione del futuro; per la gran parte sono necessariamente opportunisti del momento.
Non sono inquieti, non hanno la pressione di gravi crisi da risolvere, e grazie al cielo. Ma ciò non li autorizza a rilassarsi, a preoccuparsi delle relazioni e dei dibattiti più che dell'unico vero problema dell'Italia: il suo futuro.
Continuiamo a posticipare il problema: un debito pubblico che rifinanziamo ma che non riusciamo mai a ridurre. Dal lato economico non abbiamo una soluzione a pensioni, sanità, istruzione. Dal lato politico non abbiamo risolto il problema della giustizia, della mafia e del mezzogiorno. Peggio ancora dal lato demografico e sociale non abbiamo risolto il problema della natalità e dell'immigrazione. Tutte cose a cui gli italiani si sono psicologicamente abituati: piccoli problemi che li impattano poco nella vita quotidiana, ma che stanno ipotecando il loro futuro. Il futuro dell'Italia.
Come una crepa che serpeggia, che si insinua lentamente nella loro vita, sono i piccoli problemi trascurati che rischiano di esplodere all'improvviso con impatto devastante. Nella sua refrattarietà alla politica, l'italiano sta fiutando il vento e percepisce che qualcosa gli sta scappando di mano. Quelle promesse sessantottine di libertà, di apertura a tutto, di ribellione, di anarchia, che hanno attraversato per decenni l'Italia e ancora inquinano il suo centrosinistra, sembrano ormai cotte, digerite e deiettate. E' del pensiero forte che l'Italia ha bisogno; di radici, di sicurezza, di pulizia morale, di orgoglio nazionale. In altre parole, di coesione e di speranza nel futuro.
E questo spiega la vittoria schiacciante della Lega al nord e il suo penetramento nelle regioni rosse. La Lega è l'unico partito con forte connotazione idelogica che sia rimasto nello scenario politico, e che parla con voce fin troppo chiara. La sinistra ha poche idee e ancora meno leadership; l'Italia dei Valori ha solo un'idea: cacciare Berlusconi; il centrodestra si trascina molte lacune ma ha idee e leadership; la Lega ha tutto il resto.
Va riscontrata la miseria del PDL così com'è. La fusione con AN si è dimostrata due volte disastrosa: non ha apportato linfa vitale alla coalizione, ma ha semplicemente distrutto il bagaglio di valori di AN e minato l'unica forza di Berlusconi, cioè la sua leadership. Grazie, Fini, per questo successo.

mercoledì 24 febbraio 2010

L'oppio degli italiani

L'accusa che Galli della Loggia muove alla società italiana (e cioè agli italiani) è sacrosanta: "in Italia la politica può ospitare un così alto numero di traffichini e lestofanti in quanto ha come sponda e interlocutrice permanente una società moralmente opaca come la nostra". E' vero.
Alla base della bassa moralità degli italiani, tuttavia, e della loro pretesa "sfiducia" nella politica, ci sono radici così profonde che gli stessi italiani fanno molta fatica a riconoscerle.
L'italiano non si prende alcuna responsabilità nella sfera civile. Non è sua competenza. La responsabilità di dare lavoro, di dare da mangiare, di tenere l'ambiente pulito, di assistere i poveri, di garantire la sicurezza, di pagare pensioni e sanità, di dare istruzione di base e universitaria a tutti, di favorire la ricerca, insomma di risolvere qualsiasi tipo di problema, è responsabilità "dello Stato". Nonostante l'italiano non nutra verso di esso alcuna fiducia e ne sia perennemente deluso, crede quasi ciecamente nell'esistenza dello "Stato". Lo Stato italiano non è un territorio geografico, non è l'insieme dei cittadini, non è nemmeno l'organizzazione delle istituzioni: è "lo Stato" e cioè qualcosa d'altro, un essere metafisico e ideale a cui affidiamo attributi di semi onnipotenza. E' quasi un nuovo dio pagano.
Abbiamo alienato nello Stato tutte le virtù e le responsabilità del cittadino, trasformandolo nell'immondezzaio dei problemi che spesso per pigrizia non vogliamo risolvere da soli. E questo è il risultato di decenni di educazione socialista e antagonismo verso l'iniziativa del singolo: benché l'idea di Stato sia in sé positiva e astrattamente altruista, essa è divenuta "l'oppio degli italiani", cioè la scusa perfetta per mascherare la propria deresponsabilizzazione. E' facile dare colpe allo Stato, cosa indefinita e concretamente inesistente, tanto che per dargli una consistenza si guarda a chi l'ha creato: la classe politica. La realtà è che siamo diventati un popolo pigro e arrogante, viziato, che non teme vergogna, senza lungimiranza e ancora peggio senza interesse per il futuro, teso ad arraffare la furbata del momento, ancor meglio se a discapito di altri. E chi critica queste parole lo fa in malafede: è tristemente banale dire che ci sono ancora tante persone brave e oneste, ma proprio perché sono oneste esse sanno riconoscere l'opacità della morale italiana e non nascondono l'elefante dietro a un dito.

domenica 7 febbraio 2010

Avatar


Avatar è un capolavoro straordinario. Non è solo un film gradevole e di grande effetto, ma un film che parla dell’uomo. Di più, è il film in cui l’Occidente guarda se stesso e si trova disgustato.
Avatar segna la rottura e il superamento di tutto il cinema che l’ha preceduto. Avatar è la speranza di un mondo nuovo, pulito, innocente, di energie semplici e dirompenti. È la riscoperta di una fede nella vita, ma soprattutto la constatazione che l’uomo questa fede l’ha perduta. Come non sentire il calore di una società unita, connessa, allineata. Con quale naturalezza siamo trascinati dalla parte degli indigeni di Pandora, e tradiamo anche noi la nostra razza? Con quale spaesamento ci rendiamo conto che anche noi vogliamo restare a Pandora, e non tornare nel nostro mondo morente? Come è possibile che tutto il nostro mondo abbia perso la sua naturalezza, per finire interamente sotto il microscopio e la validazione legalese dell’essere umano? Come abbiamo potuto permettere che la spontaneità e la libertà dei comportamenti fossero vagliati e codificati, sminuzzati, per essere consentiti solo all’interno di definizioni misurate? Soprattutto, come abbiamo potuto perdere il rispetto per la vita in tutte le sue forme, quella degli altri esseri umani e quella di piante e animali?

mercoledì 6 gennaio 2010

Una Tradizione inestinguibile

Vorrei col nuovo anno riparlare di Tradizione, da qualche tempo un po' trascurata in questo blog. Ha senso parlarne proprio perché inizia un nuovo anno, cioè una nuova perla aggiunta alla collana del tempo, e il filo su cui viene installata è appunto la Tradizione.
La Tradizione è la continuità col passato, il rispetto della nostra storia, l'amore per chi ci ha preceduto. Il passato non muore, se lo teniamo in vita con la Tradizione; e così gli infiniti anelli delle generazioni continuano a brillare, assumono un significato nella prospettiva del tempo.
Noi siamo la discendenza d'infinite vite dimenticate, cancellate, di volti indistinti, che tuttavia formano una moltitudine percepibile, quasi scritta nelle nostre cellule, che col pensiero riusciamo faticosamente ad accarezzare. La Tradizione ci spiega cosa siamo, e ci dà tutti gli strumenti di cui abbiamo bisogno per vivere la nostra esistenza individuale pienamente.
Penso similarmente alle generazioni che ci seguiranno, e provo la stessa sensazione di vertigine che si ha stando al margine di uno strapiombo. Il futuro è "giù", è una forza che ci attira verso di lui, come la gravità, mentre il passato è "sopra" di noi, e non può che osservare l'esito delle nostre scelte. Il passato è chiaro, il futuro è indistinguibile. Ma anche il futuro è illuminato dalla Tradizione, perché in esso rientra, nel contesto di un piano superiore per la storia del mondo.
Le ultime generazioni hanno invece desiderato rompere con la Tradizione, quasi come bambini capricciosi che abbandonano la casa del padre, per disperdersi ciascuno per la propria strada. Per non trovare una ragione, un filo, nella storia dell'uomo, ma per annullarsi in un'esistenza lasciata al caso, al di là di bene e male, in cui tutto è lecito e privo di conseguenze. Ho tuttavia l'impressione che il tempo di crisi e il ritorno del pensiero forte (imposto da vari fattori, non ultimo lo scontro di civiltà) stia facendo passare almeno in parte l'ubriacatura che ha stordito l'Occidente, e che non è sostenibile. Tipico dell'essere umano è scordarsi delle cose fondamentali, quando ne ha di superflue, per poi inseguirle di nuovo spaventato quando sta per perderle. E ricercare il conforto dei valori tradizionali, che rimangono eternamente validi, a disposizione di chi li cerca.

domenica 3 gennaio 2010

Ricordare

Quanto sono semplici, le cose. Sempre uguali a se stesse, poiché sempre soggette alla stessa legge, eppure ci confondono con la loro semplicità.
Abbiamo inventato un calendario, e abbiamo appena girato pagina nel nuovo anno. Siamo nello stato mentale di ricominciare da capo, di azzerare quello che è stato per avviarci verso il nuovo traguardo, e cioè il bilancio di fine 2010. Nuove sfide, nuove esperienze, nuove amicizie.
Sempre uguale invece è il nostro mondo. La neve scende e si scioglie. Ancora prima che ce ne rendiamo conto, rifioriranno i nostri prati nel risveglio della primavera. Un nuovo placido ciclo delle stagioni già si muove verso il suo certo destino.
Mentre la natura prosegue con sicurezza il suo corso, noi siamo prigionieri dell’insicurezza, della variabilità, della potenzialità. Incertissimo è il nostro destino di uomini, il nostro presente, il nostro stesso essere.
Siamo avvolti come da un morbido velo di incoscienza, di dimenticanza, di pretesa d’immortalità, ed è questa una bella illusione che forse ci aiuta a vivere. Ma col volgere del nuovo anno ricordiamoci di tante cose vere e semplici, tanto banali che sfuggono quasi sempre alla nostra percezione. Ricordiamoci di quanto abbiamo: benessere, salute, famiglia, qualità personali, e di come ci sentiremmo se una sola di queste cose ci venisse meno. Consideriamo la precarietà della nostra esistenza, il fatto che siamo solo polvere di stelle, e che il mondo può benissimo fare a meno di noi. Ricordiamoci che il nostro corpo è soltanto uno strumento che amministriamo, di cui siamo liberi di fare ciò che vogliamo, ma solo per un breve periodo di tempo, e che ci può venire tolto in ogni istante. Ricordiamo che non esistiamo da soli, ma solo insieme ad altri come noi, di cui non siamo migliori né peggiori. Contentiamoci della grande opportunità che abbiamo di vivere, e sosteniamoci a vicenda nella comprensione di quanto in realtà sia povero l’essere umano.