martedì 7 aprile 2009

Italia 06-04-09

Non so da che parte cominciare. Forse da quanto mi sembra strano: siamo abituati a vedere immagini come queste, anzi, le vediamo quasi tutti i giorni. I giornali ce le mostrano spesso, con macabro gusto. Ne vediamo anche di peggiori. Ma non mi aspettavo di vedere colpita l'Italia.
L'Italia pacifica, l'Italia pacata, l'Italia serena. L'Italia che rifiuta le guerre, l'Italia ingenua, l'Italia che c'è pane e vino per tutti. Un'Italia semplice e complicata, come tutti i paesi, fatta di gente buona e meno buona, ma che è sempre il nostro paese. Persone anche lontane, che magari non conosciamo, persone a cui non penseremmo mai. Quando però la morsa della vita si è serrata, riemerge con chiarezza quel filo sepolto, quel legame invisibile che fa degli altri italiani qualcosa di più. Più che semplici sfortunati, percossi dalla sorte. Più che semplici persone, più che i francesi, gli inglesi, gli spagnoli, i tedeschi. Sono italiani, sono come noi, più vicini e più fratelli di qualunque altro popolo. Sono persone che parlano le nostre lingue, si nutrono degli stessi alimenti, respirano la stessa aria, si animano per le stesse passioni, si siedono all'ombra dello stesso Spirito. Sono parte di noi, come noi siamo parte di loro; siamo tutti casa l'uno dell'altro, riflesso delle stesse luci.
I morti non ci sono più, c'è solo chi è rimasto. Sono porte che si chiudono, altre che si spalancano. In questo strano paesaggio della vita, un paesaggio di rovine, in cui non ha senso cercare spiegazioni o giustizia, perché la natura ha sempre ragione. Vite che si sono spente senza colpa, vite che si sono salvate senza ragione, e il sole che continua a splendere sopra tutti. Con calma, in silenzio. Rimane la fragilità degli uomini, la splendida impotenza, l'eterna infanzia a cui possiamo solo abbandonarci. Il disastro rimane solo un'occasione di riscatto per chi è rimasto di qua.

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